LA STORIA
Questo antico Monastero venne fondato insieme all’annessa chiesa nel 1262, in una posizione non convenzionale: era situato, infatti, su una irta rupe, per cui la struttura godeva di un panorama mozzafiato, a strapiombo sul mare, come se fosse sospesa nell’aria. Proprio questa sua posizione azzardata ebbe un esito infausto: il Monastero e la chiesa crollarono letteralmente in mare a causa delle continue frane che subì la roccia su cui era poggiata, nei primi anni del ‘500.
In seguito, intorno al 1520, fu costruito nuovamente ma in una posizione posteriore alla precedente, ritenuta più sicura, arretrandosi dal ciglio della rupe che sovrasta.
Il ripristino del Monastero fu possibile grazie alla vendita di una casa ereditata da una suora, grazie alla quale potè pagare calce e pietre per costruire nuovamente la struttura, mentre i lavori di costruzione furono pagati grazie all’eredità del fratello di quest’ultima.
Nel 1854, la struttura del convento fu utilizzata dalla Suora per assistere nella propria ‘casa’ alcune fanciulle abbandonate. Purtroppo nel corso dei tre anni successivi la religiosa si ammalò di Colera e morì.
L’orfanotrofio femminile ebbe ragione di esistere ancora, poiché, nel 1857, un grande apostolo della Carità Cristiana, fondò l’istituto delle “F. M. ” continuando così l’opera.
Nel sec. XIX, la comunità Armena nel territorio circostante era molto vasta, per cui il Monastero fu ceduto al Servizio Religioso degli Armeni residenti in zona.
Il complesso, nelle sue varie parti, venne utilizzato nel corso dell’800 in modo inusuale: nel 1815 il convento divenne magazzino del Genio Militare; nel 1835 “Bagno Penale”; integrando, poi, nel 1860 l’Ergastolo e il Carcere Minorile, quindi una caserma per la Fanteria.
Nel corso degli anni successivi, dopo la soppressione degli Enti Religiosi del 1860, nel convento vennero ospitati i Frati Cappuccini.
Le Suore Armene conservarono la proprietà della chiesa sino al 1898, anno in cui divenne “Conservatorio Femminile G.B.”.
La sfortunata storia del Monastero, del convento e della sua chiesa continua a manifestarsi nel 1943, quando i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale danneggiarono gravemente tutto il complesso.
A coronare questi eventi infausti, l’intera struttura fu gravemente danneggiato dal sisma del 1972: fu chiusa subito dopo i gravi danni subiti a causa del terremoto, danni che nel 1975 “condannarono” alla demolizione il contiguo convento. Per lo meno si salvò il suo elegante impianto architettonico cinquecentesco-settecentesco.
Giungiamo ai giorni nostri quando, a pieno titolo sui giornali della zona, troviamo: “Riapertura imminente per la chiesa, uno dei simboli delle ‘incompiute’ del Centro Storico. Fine cantiere entro l’estate.”
Abbandonata a se stessa e al degrado, penalizzata da una serie di lavori di ristrutturazione a singhiozzo iniziati già negli anni ‘80, è diventata uno dei simboli più emblematici dell’incompiuta opera istituzionale di valorizzazione del centro. Ora, dopo quasi mezzo secolo, sembra di intravedere la fine cantiere, dopo oltre 500mila euro spesi.
Alla possibile quanto auspicabilissima riapertura al pubblico della chiesa sconsacrata, si lega l’impresa fondamentale e, a questo punto doverosa, del recupero e il riposizionamento delle varie opere d’arte: negli ultimi due secoli, i maestosi e preziosissimi dipinti sono stati delocalizzati in altri edifici (come magazzini e caserme), custoditi al sicuro e in perfetto stato di conservazione, su disposizione dell’Arcidiocesi.
Quest’ultima infatti, non sapeva ove collocarli nell’attesa del completamento dei lavori di ristrutturazione (durante la visita ho notato che manca solo qualche ritocco ai pavimenti, la ritinteggiatura di piccoli tratti di pareti laterali e la ripulitura del campanile.)
L’interno del Monastero, ad una navata, di pianta rettangolare, con pareti scandite da semi-colonne e lesene, è caratterizzato dall’impronta di rinnovamento architettonico di F.M.C. che, nel 1760, realizzò la spaziosa volta a botte con lunette che scendono in corrispondenza delle finestre e la zona absidale di forma ellittica. In quest’ultima spiccano in tutta la loro bellezza gli stucchi del secolo XVIII, che rappresentano gli “Angeli in Gloria”. Quegli Angeli sono l’unica opera d’arte che resta nella chiesa, assieme alla statua della Vergine Maria che orna la nicchia del secondo altare sul lato sinistro.
Questo magnifico complesso di culto viene però ‘rovinato esteticamente’ da tutto il sagrato esterno, ridotto a piccola giungla degradata, sporca, incorniciata da inferriate arrugginite.
LO SHOOTING
Questo set è stato l’ultimo pin della giornata, non mi aspettavo chissà cosa, essendo un po’ ‘defilato dall’Urbex conosciuto’ (caso in cui o è una super-primizia da podio o una fregatura totale), ma poteva essere la degna conclusione di una giornata Urbex.
Così dopo aver studiato una possibile entrata (non me ne sarei andato a mani vuote avendo già dovuto desistere in un paio di posti, ore prima) senza essere visto, mi infilo tra cancelli e impalcature il più velocemente possibile, poiché è situato in una zona abbastanza centrale.
L’accesso è quantomeno difficoltoso tra rovi e sterpaglie, inferriate e calcinacci, impalcature e attrezzi da lavoro… ma alla fine una finestra aperta si trova sempre!
Una volta dentro il primo pensiero è: “Tutta sta fatica per il c…!!!” Vabbè…tiro fuori le fotocamere, cavalletto e faretto e inizio a farmi strada tra le macerie.
Quello che appare passo dopo passo è un ambiente reduce da un incendio, buio e umido, angosciante e pregno di tristezza.
Così, dopo un lungo sospiro quasi di rassegnazione, mi faccio coraggio cercando dettagli e tagli di luce da immortalare.
Peccato che fuori sta pure piovendo, il che non aiuta!
Il piano terra non offre grandi spunti, il degrado la fa da padrone, e, a parte una stanza piena di comodini gialli, trovo solamente resti di un cantiere e mobilio bruciato.
La portineria si affaccia sull’androne principale, dove si possono scorgere ancora gli intonaci rosa alle pareti, con la scala che porta al piano superiore, devastato dall’incendio. Solo una lapide rimane, a pezzi, a ricordo del sacrificio di una giovane madre.
Poi solo un susseguirsi di stanze semivuote, grigie, con qualche poltrona sbilenca, tappeti di muschio e intonaci scrostati, fino ad arrivare la stanza dei telai, l’ultima in fondo al corridoio dell’ultimo piano: pareti gialline, sbiadite dal tempo, quasi malinconiche, che osservano l’incombere della fine di queste attrezzature tessili coperte di ruggine, dove ai piedi ancora rimangono gomitoli colorati in attesa di essere filati.
Una porta-finestra sbilenca si affaccia sulla strada sottostante (un signore, nell’ufficio di fronte, mi guarda tra il curioso e stranito mentre fotografo…mah!) lasciando entrare i rumori del mondo che fuori da qui continua la vita caotica.
Un lato crollato dell’edificio cattura la mia attenzione dove solitario e ancorato al muro, è rimasto un termosifone, nell’unico angolo di pavimento non crollato, come fosse intrappolato lì.. povero! Mi fà quasi pena..
Continuo a girovagare per lo stabile scattando qua e là, o meglio, documentando quel poco che rimane, tra lo scorcio che offre il corridoio a sbalzo sullo strapiombo e gli infissi arrugginiti.
Tornato al pianterreno finisco la visita con l’ala rimasta, dove si trova l’antica chiesa che, come citato prima, è ‘quasi’ perfettamente restaurata. E’ quasi una nota stonata con tutto il resto fatiscente. In pochi metri passo dal buio che inghiotte il bruciato dimenticato al restaurato pieno di luce.
Ma sono ancora nello stesso posto?
Guardandomi intorno, potrei pure pensare che i titoli sui giornali potessero aver ragione, solo le impronte che rimangono sugli strati di polvere mi fanno ricredere!
Purtroppo, non essendoci nient’altro continuo la visita nelle stanze buie, pensando di aver concluso la visita, quando, nel buio di una stanza, vedo un calciobalilla illuminato dai flebili raggi di luce penetranti dalle persiane scardinate.
Sbilenco sulla sua gamba piegata dal tempo, traballante e incerto se resistere o crollare sul pavimento trascinandosi dietro i suoi giocatori.
“Ecco la foto!” (perchè in ogni set che si rispetti ‘LA’ foto ci deve essere, quello scatto che ti ripaga di tutto il tempo perso, delle decine di scatti scartati…)
Sfilo lo zaino, preparo il cavalletto, il 105 a diaframma massimo (sono nel buio totale) e inizio a ritrarre quei calciatori fermi da chissà quanti anni, in pose surreali, scomode, legati da fili di ragnatele, sospesi su un campo di polvere e muffa, trafitti da pali di ruggine ormai bloccati.
Gli scatti vengono da se’, automatici, come se la fotocamera sapesse già cosa fare senza il mio aiuto. Le inquadrature quasi si accavallano tanta è la frenesia di non perdere quella luce strana, fredda e asettica.
E mentre aspetto che il sensore immagazzini le immagini, nel silenzio del buio, intravedo lei, ai piedi del bigliardino, come se volesse sfuggire alla mia vista, una pallina rossa, finita fuori campo probabilmente durante l’ultima partita e dimenticata lì, sola.
Purtroppo la mancanza di illuminazione mi impedisce di ritrarla come vorrei, come la stanno vedendo i miei occhi ora, sarebbe troppo facile lavorare in post-produzione, ma non gli renderei giustizia, e forse è meglio così.
Così, approfittando dei pochi minuti di luce prima del tramonto, offerti dalla tregua di pioggia, scatto le ultime immagini di questo luogo pieno di storia, pieno di speranze, pieno di angoscia ancora palpabile, con l’utopia che le prossime documentino il restauro completato e il suo ritorno alla vita.
…Anche se vorrebbe dire che del bigliardino con la sua pallina rossa rimarrà solo un ricordo impresso nei miei ricordi immortalati nella mente e nelle fotografie..
-flickr- Album Completo
by Chris Morri / rev. Cristina Giovannini