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6. Double Piano

LA STORIA / LO SHOOTING     

Questa visita nasce come tante altre da una giornata di esplorazioni seriali, in cui è più facile scoprire ruderi che qualcosa di veramente interessante.

Ed in parte così è stato.. dopo alcune location, anche questa doveva essere poco fruttuosa visto l’esterno e l’ubicazione… niente di più sbagliato!

All’ingresso del paese si trova Villa M, un edificio di pregevole fattura, la cui particolarità è (anzi era) quella di avere stanze con i soffitti diversi uno dall’altro, oltre una caratteristica forma ad ‘U’ che la rende ancor più singolare rispetto ai fabbricati limitrofi.

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La storia di questa magnifica villa nobiliare costruita sulle colline inizia nel 1600 grazie alla famiglia M. che la insignì come propria villa di residenza.
Il palazzo, purtroppo, a distanza di 500 anni versa in precarie condizioni in un contesto quasi del tutto urbanizzato, motivo per cui necessiterebbe di una profonda e totale ristrutturazione.

Durante la nostra visita ci è sembrato più un magazzino, ben lontano dai fasti di un tempo, dove abbiam trovato anche pregevoli oggetti come pianoforti (leggasi al plurale), antichi lampadari, sci d’epoca, mobili vari… tutto accatastato nelle varie stanze a pian terreno.

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Al piano superiore, oltre a qualche stanza dal soffitto ‘vista cielo’, troviamo solo un susseguirsi di stanze quasi vuote, e con ben poco dei soffitti descritti, stanze custodi per lo più di oggetti di uso quotidiano come una lavagna, qualche poltrona, alcuni soprammobili e poco altro.

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Fortunatamente l’ora della visita ci ha regalato una bellissima luce naturale con cui giocare tra una stanza e l’altra.
Immortalare scorci di muri e pavimenti in cotto è stato quasi un gioco da ragazzi tanto che la visita, se non fosse stata per la stanza dei pianoforti, sarebbe stata molto breve.

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Ma è stato davvero difficile non scaricare le batterie della reflex su quella coppia di pianoforti, dimenticati tra tanto marasma, baciati da raggi di sole come a volersi pavoneggiare per un’ultima volta, silenziosi e maestosi, con i loro tasti ‘sconquassati’ dal tempo.

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Purtroppo il sole sta’ tramontando anche su questa avventura, lasciamo il curioso Pick-up d’epoca che ci ha accolto nel cortile interno al suo (triste) futuro sperando, come sempre, di ritrovare questo posto (se non uguale ad oggi) non peggio per colpa dei soliti vandali.

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Ps. Per chi volesse, questo edificio è pure in vendita…

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5. Ex Orfanotrofio Femminile G.B.

LA STORIA

Questo antico Monastero venne fondato insieme all’annessa chiesa nel 1262, in una posizione non convenzionale: era situato, infatti, su una irta rupe, per cui la struttura godeva di un panorama mozzafiato, a strapiombo sul mare, come se fosse sospesa nell’aria. Proprio questa sua posizione azzardata ebbe un esito infausto: il Monastero e la chiesa crollarono letteralmente in mare a causa delle continue frane che subì la roccia su cui era poggiata, nei primi anni del ‘500.

In seguito, intorno al 1520, fu costruito nuovamente ma in una posizione posteriore alla precedente, ritenuta più sicura, arretrandosi dal ciglio della rupe che sovrasta.
Il ripristino del Monastero fu possibile grazie alla vendita di una casa ereditata da una suora, grazie alla quale potè pagare calce e pietre per costruire nuovamente la struttura, mentre i lavori di costruzione furono pagati grazie all’eredità del fratello di quest’ultima.

Nel 1854, la struttura del convento fu utilizzata dalla Suora per assistere nella propria ‘casa’ alcune fanciulle abbandonate. Purtroppo nel corso dei tre anni successivi la religiosa si ammalò di Colera e morì.
L’orfanotrofio femminile ebbe ragione di esistere ancora, poiché, nel 1857, un grande apostolo della Carità Cristiana, fondò l’istituto delle “F. M. ” continuando così l’opera.

Nel sec. XIX, la comunità Armena nel territorio circostante era molto vasta, per cui il Monastero fu ceduto al Servizio Religioso degli Armeni residenti in zona.
Il complesso, nelle sue varie parti, venne utilizzato nel corso dell’800 in modo inusuale: nel 1815 il convento divenne magazzino del Genio Militare; nel 1835 “Bagno Penale”; integrando, poi, nel 1860 l’Ergastolo e il Carcere Minorile, quindi una caserma per la Fanteria.

Nel corso degli anni successivi, dopo la soppressione degli Enti Religiosi del 1860, nel convento vennero ospitati i Frati Cappuccini.
Le Suore Armene conservarono la proprietà della chiesa sino al 1898, anno in cui divenne “Conservatorio Femminile G.B.”.

La sfortunata storia del Monastero, del convento e della sua chiesa continua a manifestarsi nel 1943, quando i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale danneggiarono gravemente tutto il complesso.
A coronare questi eventi infausti, l’intera struttura fu gravemente danneggiato dal sisma del 1972: fu chiusa subito dopo i gravi danni subiti a causa del terremoto, danni che nel 1975 “condannarono” alla demolizione il contiguo convento. Per lo meno si salvò il suo elegante impianto architettonico cinquecentesco-settecentesco.

Giungiamo ai giorni nostri quando, a pieno titolo sui giornali della zona, troviamo: “Riapertura imminente per la chiesa, uno dei simboli delle ‘incompiute’ del Centro Storico. Fine cantiere entro l’estate.”
Abbandonata a se stessa e al degrado, penalizzata da una serie di lavori di ristrutturazione a singhiozzo iniziati già negli anni ‘80, è diventata uno dei simboli più emblematici dell’incompiuta opera istituzionale di valorizzazione del centro. Ora, dopo quasi mezzo secolo, sembra di intravedere la fine cantiere, dopo oltre 500mila euro spesi.

Alla possibile quanto auspicabilissima riapertura al pubblico della chiesa sconsacrata, si lega l’impresa fondamentale e, a questo punto doverosa, del recupero e il riposizionamento delle varie opere d’arte: negli ultimi due secoli, i maestosi e preziosissimi dipinti sono stati delocalizzati in altri edifici (come magazzini e caserme), custoditi al sicuro e in perfetto stato di conservazione, su disposizione dell’Arcidiocesi.
Quest’ultima infatti, non sapeva ove collocarli nell’attesa del completamento dei lavori di ristrutturazione (durante la visita ho notato che manca solo qualche ritocco ai pavimenti, la ritinteggiatura di piccoli tratti di pareti laterali e la ripulitura del campanile.)

L’interno del Monastero, ad una navata, di pianta rettangolare, con pareti scandite da semi-colonne e lesene, è caratterizzato dall’impronta di rinnovamento architettonico di F.M.C. che, nel 1760, realizzò la spaziosa volta a botte con lunette che scendono in corrispondenza delle finestre e la zona absidale di forma ellittica. In quest’ultima spiccano in tutta la loro bellezza gli stucchi del secolo XVIII, che rappresentano gli “Angeli in Gloria”. Quegli Angeli sono l’unica opera d’arte che resta nella chiesa, assieme alla statua della Vergine Maria che orna la nicchia del secondo altare sul lato sinistro.

Questo magnifico complesso di culto viene però ‘rovinato esteticamente’ da tutto il sagrato esterno, ridotto a piccola giungla degradata, sporca, incorniciata da inferriate arrugginite.

LO SHOOTING

Questo set è stato l’ultimo pin della giornata, non mi aspettavo chissà cosa, essendo un po’ ‘defilato dall’Urbex conosciuto’ (caso in cui o è una super-primizia da podio o una fregatura totale), ma poteva essere la degna conclusione di una giornata Urbex.

Così dopo aver studiato una possibile entrata (non me ne sarei andato a mani vuote avendo già dovuto desistere in un paio di posti, ore prima) senza essere visto, mi infilo tra cancelli e impalcature il più velocemente possibile, poiché è situato in una zona abbastanza centrale.

L’accesso è quantomeno difficoltoso tra rovi e sterpaglie, inferriate e calcinacci, impalcature e attrezzi da lavoro… ma alla fine una finestra aperta si trova sempre!
Una volta dentro il primo pensiero è: “Tutta sta fatica per il c…!!!” Vabbè…tiro fuori le fotocamere, cavalletto e faretto e inizio a farmi strada tra le macerie.
Quello che appare passo dopo passo è un ambiente reduce da un incendio, buio e umido, angosciante e pregno di tristezza.

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Così, dopo un lungo sospiro quasi di rassegnazione, mi faccio coraggio cercando dettagli e tagli di luce da immortalare.
Peccato che fuori sta pure piovendo, il che non aiuta!
Il piano terra non offre grandi spunti, il degrado la fa da padrone, e, a parte una stanza piena di comodini gialli, trovo solamente resti di un cantiere e mobilio bruciato.

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La portineria si affaccia sull’androne principale, dove si possono scorgere ancora gli intonaci rosa alle pareti, con la scala che porta al piano superiore, devastato dall’incendio. Solo una lapide rimane, a pezzi, a ricordo del sacrificio di una giovane madre.

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Poi solo un susseguirsi di stanze semivuote, grigie, con qualche poltrona sbilenca, tappeti di muschio e intonaci scrostati, fino ad arrivare la stanza dei telai, l’ultima in fondo al corridoio dell’ultimo piano: pareti gialline, sbiadite dal tempo, quasi malinconiche, che osservano l’incombere della fine di queste attrezzature tessili coperte di ruggine, dove ai piedi ancora rimangono gomitoli colorati in attesa di essere filati.

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Una porta-finestra sbilenca si affaccia sulla strada sottostante (un signore, nell’ufficio di fronte, mi guarda tra il curioso e stranito mentre fotografo…mah!) lasciando entrare i rumori del mondo che fuori da qui continua la vita caotica.

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Un lato crollato dell’edificio cattura la mia attenzione dove solitario e ancorato al muro, è rimasto un termosifone, nell’unico angolo di pavimento non crollato, come fosse intrappolato lì.. povero! Mi fà quasi pena..

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Continuo a girovagare per lo stabile scattando qua e là, o meglio, documentando quel poco che rimane, tra lo scorcio che offre il corridoio a sbalzo sullo strapiombo e gli infissi arrugginiti.

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Tornato al pianterreno finisco la visita con l’ala rimasta, dove si trova l’antica chiesa che, come citato prima, è ‘quasi’ perfettamente restaurata. E’ quasi una nota stonata con tutto il resto fatiscente. In pochi metri passo dal buio che inghiotte il bruciato dimenticato al restaurato pieno di luce.

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Ma sono ancora nello stesso posto?

Guardandomi intorno, potrei pure pensare che i titoli sui giornali potessero aver ragione, solo le impronte che rimangono sugli strati di polvere mi fanno ricredere!
Purtroppo, non essendoci nient’altro continuo la visita nelle stanze buie, pensando di aver concluso la visita, quando, nel buio di una stanza, vedo un calciobalilla illuminato dai flebili raggi di luce penetranti dalle persiane scardinate.
Sbilenco sulla sua gamba piegata dal tempo, traballante e incerto se resistere o crollare sul pavimento trascinandosi dietro i suoi giocatori.

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“Ecco la foto!” (perchè in ogni set che si rispetti ‘LA’ foto ci deve essere, quello scatto che ti ripaga di tutto il tempo perso, delle decine di scatti scartati…)

Sfilo lo zaino, preparo il cavalletto, il 105 a diaframma massimo (sono nel buio totale) e inizio a ritrarre quei calciatori fermi da chissà quanti anni, in pose surreali, scomode, legati da fili di ragnatele, sospesi su un campo di polvere e muffa, trafitti da pali di ruggine ormai bloccati.

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Gli scatti vengono da se’, automatici, come se la fotocamera sapesse già cosa fare senza il mio aiuto. Le inquadrature quasi si accavallano tanta è la frenesia di non perdere quella luce strana, fredda e asettica.

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E mentre aspetto che il sensore immagazzini le immagini, nel silenzio del buio, intravedo lei, ai piedi del bigliardino, come se volesse sfuggire alla mia vista, una pallina rossa, finita fuori campo probabilmente durante l’ultima partita e dimenticata lì, sola.

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Purtroppo la mancanza di illuminazione mi impedisce di ritrarla come vorrei, come la stanno vedendo i miei occhi ora, sarebbe troppo facile lavorare in post-produzione, ma non gli renderei giustizia, e forse è meglio così.
Così, approfittando dei pochi minuti di luce prima del tramonto, offerti dalla tregua di pioggia, scatto le ultime immagini di questo luogo pieno di storia, pieno di speranze, pieno di angoscia ancora palpabile, con l’utopia che le prossime documentino il restauro completato e il suo ritorno alla vita.

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…Anche se vorrebbe dire che del bigliardino con la sua pallina rossa rimarrà solo un ricordo impresso nei miei ricordi immortalati nella mente e nelle fotografie..

-flickr- Album Completo

by Chris Morri / rev. Cristina Giovannini

3. Ex Borgo C.

LA STORIA

Arrivato a casa per post-produrre le foto e cercare info per raccontarvi questa avventura, ecco che quel piccolo edificio dimenticato, diventa magicamente un borgo, anzi ‘il Borgo C.’.. Secondo le prime documentazioni che ci rimandano all’anno 1834, i registri catastali dell’epoca ci dicono che Prete D. acquista una casa di proprio uso, una casa colonica con corte, un portico e altre case coloniche. Il casato di Prete D. anticamente pare che fosse una famiglia di carbonari, che lentamente iniziano ad accumulare denaro e ad acquistare terreni, fino a divenire, con il XIX secolo, fra i piu facoltosi possidenti del circondario. Prima del 1850, presso gli altri corpi di fabbrica, viene costruito un altro edificio padronale, affiancato da una cappella, collegato a sua volta ad una casa colonica vicina ad un arco.

Si tratta del palazzo padronale, quello che siamo riusciti a visitare.

Nel nucleo di edifici viene installato anche un mulino da olio, probabilmente rimosso negli anni successivi.

La casa padronale che affianca la cappella in origine era dotata di due piani, sui quali, in posizione centrale, si innalzava un altro piano con funzione di torretta colombaia.

In seguito ai bombardamenti durante il secondo conflitto mondiale un violento incendio semidistrusse l’edificio; infatti nel 1946, sempre secondo i documenti, venne dichiarato “inabitabile per eventi bellici”.

Nel fuoco andarono distrutti gli arredi, il mobilio, e quant’ altro si trovava nella casa, che fu successivamente restaurata, tralasciando però la ricostruzione della torretta centrale mentre sugli angoli della controfacciata, rimangono le due torrette aggettanti, chiamate “torricini”, preposte alla difesa dai frequenti assalti dei briganti vennero mantenute. Perché dalle feritoie, in tutta sicurezza, si potevano tenere sotto controllo i lati posteriori della casa.

Anche gli interni furono semplificati e ammodernati, evitando di ricostruire le antiche volte dipinte, come quella, notevole che era presente nel salone centrale.

Ripartiti i numerosi sfollati che vi avevano trovato rifugio, il palazzo fu abitato solo per pochi anni, fino al 1955, quindi definitivamente abbandonato.

Finchè venne riscoperto, quasi per caso, da quattro fotografi con l’insana voglia di restituire queste perle al patrimonio culturale italiano.

LO SHOOTING

Come sempre capita in questi casi, niente è come sembra..

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Percorrendo la strada antistante quello che si può scorgere è solo un rudere con dei curiosi torricini agli angoli, qualcosa che può sembrare una chiesetta di campagna diroccata.. niente di più.

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Ma si sa, mai fermarsi alle apparenze, così parcheggiamo e cerchiamo un varco tra la fitta vegetazione che avvolge questo edificio trovandolo in un punto senza recinzione.

Così, senza troppe speranze, iniziamo a girare questo fabbricato che si sviluppa su due piani, passando per il retro dove scopriamo anche la cappelletta adiacente ed un altro fabbricato ad uso rurale / magazzini, che ho scoperto poi essere stato pure una scuola e frantoio.

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L’entrata è quantomeno facile dalla porta principale completamente aperta, così decido, dopo una prima e fugace occhiata al pianterreno (stipato di attrezzi agricoli e chincaglierie) di salire subito al primo piano dove un piccolo corridoio viene illuminato da un perfetto taglio di luce che esalta la ‘povera’ bellezza di una sedia in legno e un triste ed abbandonato estintore d’epoca.

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Rapito da questo scorcio, non curante di dove fossero i compagni di escursione, pianto il cavalletto ed inizio ad immortalarlo prima che la magia della luce scompaia con entrambe le fotocamere.

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La scoperta prosegue con la camera da letto, completa di letto e armadio, in pieno stile contadino anni ’50 ed un comò ancora pieno di spazzole, oggetti personali e per la cura della persona, abbigliamenti vari.. mentre la stanza adiacente offre poco, se non qualche amata ragnatela alla finestra.

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Prendo qualche scatto per poi passare alla stanza successiva che palesa tutto il suo essere rurale: una bellissima cucina ancora arredata con una credenza piena di oggetti per cui un antiquario farebbe carte false: bicchieri, schiacciapatate e attrezzi che una moderna casalinga nemmeno saprebbe identificare!

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Peccato che la splendida luce che illumina l’altro lato dell’edificio stenta ad arrivare qua, rendendo difficoltoso scorgere i dettagli nella penombra, anche se la cucinetta a gas e il camino vengono degnamente illuminati.

Tra me e me penso di trovarmi nella stanza migliore, così mi soffermo un po’ di più sui dettagli e le inquadrature, sapendo di trovare ben poco nelle altre stanze che rimangono..

Niente di più sbagliato.. manca ancora il salotto… e la chiesetta!!

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Il primo appare per niente vandalizzato, le due credenze ancora custodiscono piccoli oggetti di uso quotidiano come tazzine e cucchiaini che, con la calda luce che ancora vi permane, risaltano in tutto il loro decadente abbandono, accompagnati anche da un certificato di matrimonio appeso alla parete (ma purtroppo non datato).

La porta in fondo alla stanza conduce direttamente nella chiesetta, o meglio sulla cantoria, quantomai resistente (solo in seguito ho scoperto che stavo fotografando in un punto senza pavimento sottostante.. vabbè) dove scatto alcune foto dell’intero volume.

Una chiesetta piccola, di campagna, con le volte verniciate di blu (sembra quasi una mini Blue-Chapel contadina), nemmeno troppo diroccata.

Merita comunque di essere fotografata anche dal basso così scendo le scale passando per un magazzino pieno di attrezzature agricole (debitamente immortalate) per ritrovarmi sull’altare della piccola cappella, dove cedimenti e qualche sciacallaggio hanno fatto il loro corso.

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Agli occhi mi si presenta la classica chiesetta di paese, che si lascia fotografare senza particolari velleità, alcune file di panche ed un mini confessionale vicino all’entrata.

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Concludo la visita passando per il magazzino che, grazie ad una luce perfetta, rivela tantissimi dettagli, tantissimi oggetti ricchi di storia, tantissimi ricordi ormai persi.. Un altro viaggio ci aspetta e la luce è poca!

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2. Ex Hotel C. -INEDITO-

LA STORIA

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Come si può constatare transitando sulla litoranea, la D., una delle più importanti colonie che hanno segnato la storia turistica della città, è stata eccellentemente recuperata e trasformata in un albergo congressuale, dopo gli interventi eseguiti negli anni Ottanta, che ne hanno in gran parte conservato l’originario aspetto esteriore. Una lodevole variazione di rotta rispetto agli anni Sessanta, quando le gloriose testimonianze di un recente passato, erano abbattute  nell’indifferenza, o con il colpevole avallo delle istituzioni.

Questa colonia è riconducibile, al pari di tante altre sorte in zona, al fenomeno diffuso in tutta Europa della costruzione da parte di enti pubblici ed aziende private, di edifici atti ad ospitare istituzioni di carattere sociale ed assistenziale, rivolte soprattutto alle famiglie ed  ai figli dei lavoratori.

Nello specifico la Società D. è un’industria siderurgica all’avanguardia. In questo ambito, la realizzazione nel 1936 della colonia marina elioterapica a pochi passi dal mare ha sempre rappresentato un vanto, com’è ampiamente descritto negli annali della fabbrica.

L’edificio, progettato da un architetto tra i principali professionisti dell’epoca venne inaugurato in pompa magna, secondo i classici stilemi del regime fascista e con ampio risalto della stampa dell’epoca, che sottolineò il fatto che alla “nuova imponente  colonia toccò  l’onore elevatissimo d’essere visitata dal Duce”. Dotata di una superficie di circa 1500 metri quadrati, era circondata da un’area propria che comprendeva oltre 30.000 mq. di spiaggia.

Nel 1940, così come altre colonie, venne requisita dalle autorità, per essere adibita ad ospedale militare. Al termine del secondo conflitto mondiale, la colonia riprese intensamente la propria attività, tanto che dovette essere  ulteriormente ampliata, al fine di poter accogliere un numero crescente di ragazzi. Successivamente, a partire dagli anni Sessanta,  l’avvento del turismo di massa, il boom economico e svariati altri motivi porteranno alla chiusura di numerose colonie su tutto il territorio nazionale. Ma la Colonia D. dopo una ventina d’anni d’abbandono, grazie al suo sapiente recupero per scopi  turistici, si erge  a  testimoniare ancor oggi  una “gloriosa” istituzione che, in un passato non  tanto lontano, ha permesso benefiche cure marine e la “scoperta del mare” ad un gran numero di bambini italiani.

Si arriva così ai giorni nostri, quando la Colonia D. si fa’ conoscere per la qualità e il lusso che contraddistingue l’Hotel C. nato dalle sue ceneri.

2013.. 4 anni dopo la chiusura il ‘quattrostelle’ è in vendita.

«Stiamo lavorando per fare in modo che l’albergo riapra al più presto e nel modo che merita», diceva l’avvocato incaricato dalla famiglia proprietaria di una struttura il cui valore di mercato supera i 10 milioni di euro.

La storia del quattro stelle, negli ultimi anni, è stata travolta dalla mala gestione e dai fallimenti che hanno caratterizzato le società affittuarie dell’immobile. Ora, l’intenzione della famiglia è quella di vendere il bene e affidare l’hotel a chi sappia davvero farlo ripartire. Il problema è che lo stabile necessita di un intervento profondo di manutenzione e adeguamento rispetto agli standard anti-incendio se vorrà ripartire.

LO SHOOTING

Passando sulla litoranea è difficile non scorgere questa mastodontica struttura dismessa, quello che oggi appare come un hotel abbandonato ed in rovina.
Non conoscendo nulla della sua storia fino poco tempo fa’, dopo averlo fotografato ho deciso di interessarmene scoprendo quello che vi ho appena raccontato.
Dopo alcuni mesi di accertamenti, decidiamo di entrare nella struttura attraverso una finestra aperta, convinti del reale abbandono.
Tutto appare in condizioni perfette, nessun segno di effrazioni, di vandalismo o di attività ‘umane’.

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La struttura al primo impatto ci mostra subito la qualità offerta ai clienti. La bellissima sala da pranzo, la hall che si sviluppa come un open-space di tre piani, il bar rifinito di legno pregiato e le stanze adibite ad uso congressi/riunioni ancora intonse.

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Ogni dettaglio sembra pronto per la riapertura, e i pochi anni di abbandono si notano solo dalla leggera patina di polvere che copre tutto.

Proseguendo lo shooting dalla sala da pranzo a piano terra si accede ad una seconda sala per cerimonie al piano sotterraneo con ancora tavoli e sedie ‘ben’ disposti ed ai magazzini (purtroppo inchiavati)

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Purtroppo non siamo riusciti a visitare la palazzina adiacente, che faceva parte della zona per lo staff e i dipendenti, ma non penso avrebbe offerto particolari spunti fotografici.
Così, dopo aver ‘documentato’ minuziosamente il pianterreno ci dedichiamo ai piani superiori, finemente decorati e con moquette ancora degna del rango.
Buona parte delle stanze sono ancora allo stadio di ‘ristrutturazione’ (parlando poi con addetti al settore scopriamo che prima del fallimento era in atto una ristrutturazione radicale dell’immobile) quindi è stato impossibile trovare una stanza in assetto ‘pronto-cliente’.

 

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Il terrazzo che visitiamo all’ultimo piano offre una stupenda vista sulla spiaggia privata e sulle piscine antistanti l’edificio, peccato che nessuno potrà più goderne (sempre dalle fonti quasi-ufficiali sembra che l’hotel verrà smantellato e raso al suolo per volere dei proprietari)

Con la speranza di poter tornare a visitare queste stanze si conclude la visita a questo pezzo di storia dimenticata, con un ultimo sguardo alla sua imponenza, alle piscine ormai vuote, alla spiaggia ormai coperta di sterpaglie.

Buon riposo Colonia D, forse anche per te è giunto il momento di finire tra i libri di storia.

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1. Ex Acciaierie S. -INEDITO-

LA STORIA

Le Acciaierie e Ferriere P. (AFP) nascono nel 1923 su iniziativa di tre soci che rilevano dal fallimento di una ditta il Laminatoio Modello 250 di ‘recente’ costruzione.

Tra il 1932 e il 1933 inizia un complessa operazione di ampliamento dello stabilimento realizzando il laminatoio, l’acciaieria (e successivamente la Fonderia), le officine meccaniche, la carpenteria in legno e in ferro e un reparto per la fabbricazione di attrezzi agricoli.

Nel 1943 le AFP furono occupate dagli inglesi che utilizzarono gli impianti per soli fini bellici e rifornimento degli armamenti alle truppe inglesi. Durante l’occupazione gli alleati non apportarono alcun ammodernamento degli impianti, ma aumentarono la forza lavoro a 1.200 unità.

Al termine del periodo bellico, la fabbrica ritorna ai legittimi proprietari che si dedicano alla riorganizzazione dello stabilimento, ammodernamento e potenziamento degli impianti di produzione dell’acciaio e in particolare dei tubi speciali di acciaio senza saldature portando le AFP a notevoli livelli di produttività e notorietà esportando i prodotti in Italia e all’estero. In dieci anni le AFP decuplicarono la produzione e raddoppiarono la forza lavoro tra operai e impiegati dalle 350 unità, quelle del periodo antecedente la guerra, ai 750 del 1946, alle 1.200 unità degli anni ’60, ottennendo diversi riconoscimenti nazionali tra i quali il premio “Nuovo Mezzogiorno” nel 1968.

Negli anni ’70 lo stabilimento crebbe con imponenti e moderni capannoni e venne dotato di forno Martin-Siemens da 70 tonnellate, due forni elettrici rispettivamente da 7 e 12 tonnellate, forno a suola rotante della capacità di 25 tonnellate/ora. La produzione si realizza in 150.000 tonnellate annue di acciaio.

Alla fine degli anni ’70 con la crisi siderugica cominciò a delinearsi il declino dell’azienda.

Nel 1979 la AFP chiusero i battenti e nel 1984 il CIPI deliberò lo smantellamento delle strutture.

L’ESPLORAZIONE

Con simili premesse l’esplorazione si presentava quantomai ricca!

Il Sud Italia pur offrendo tantissime risorse, stranamente, non è molto battuto nell’ambito Urbex, o per meglio dire, non ha una comunità molto presente. Così, senza troppe informazioni mi sono messo alla ricerca di questo enorme complesso industriale.

Normalmente non sono attratto dall’industrial ma l’occasione era ghiotta e non potevo lasciarmela scappare così, zaino in spalla, mi son messo a cercare un accesso lungo lo sconfinato perimetro tra strade, edifici operanti, agglomerati di zingari, comunità di extracomunitari e campi fino a trovare l’agognato buco nella rete!

La visita inizia all’ombra della grande ciminiera, proprio vicino agli edifici degli operai (spogliatoi, bagni, infermeria..), che si staglia ancora maestona sulle fabbriche adiacenti. Inizio a tirar fuori l’attrezzatura cercando di pianificare su mappa il giro da intraprendere viste le gigantesche dimensioni del sito.

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Essendo un amante del ‘civil’ style e delle stanze, rimango subito affascinato dagli enormi spazi che ospitavano i macchinari. Capannoni semivuoti, gru a ponte che ancora mi guardano dall’alto, strani macchinari addormentati, e tutta l’aria permeata ancora dall’odore  di olio lubrificante. Il paesaggio ricorda molto Mad Max, ferro arrugginito misto a verdi frasche, arbusti che fanno capolino dai tralicci rosso-ruggine, vasche di raffreddamento ancora piene di chissà quali batteri che colorano l’acqua in modi impensabili.. e silenzio tutt’attorno.

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L’area è talmente vasta che nei capannoni centrali non si ode nemmeno il mondo che si trova all’esterno della recinzione. Solo qualche piccione rompe il silenzio e i raggi che filtrano dai tetti.

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E una coppia di randagi che scappa impaurita non appena mi vede. Forse erano più sorpresi loro di me nel trovare qualcuno lì!

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E’ una strana sensazione camminare in questi immensi spazi vuoti e silenziosi, pensando alle acciaierie in funzione che si vedono nei film.. con il loro viavai di operai, rumori assordanti, caldo soffocante (e io sto sudando solo con uno zaino in spalla) mentre ora sono solo i miei passi a rieccheggiare.

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Così proseguo la mia visita tra vasche e ferri, tra capannoni e officine, fino ad arrivare alla zona degli uffici, vicino all’entrata principale. Essendo dismesso da 30 anni mi aspettavo più devastazione e vandalismo, invece in alcuni uffici ancora ci sono tavoli con cancelleria e mobili integri. Lo stile è splendidamente anni ’70/80.. sembra di fare realmente un tuffo nel passato, ma è ora di tornare nel presente, il caldo sole estivo sta calando e le ore di esplorazione iniziano a farsi sentire.. e devo riguadagnare l’uscita, che si trova esattamente dall’altra parte dell’acciaieria.. sigh!

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